Eugenio Montale
- Andrea La China
- 1 ott 2018
- Tempo di lettura: 1 min
Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 e partecipò come ufficiale di fanteria alla Prima Guerra mondiale. Nel dopoguerra fu vicino a Gobbetti e collaborò alla “Rivoluzione Liberale”. Si trasferì poi a Firenze, dove per alcuni anni fu direttore del “Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux”. Da questo incarico fu poi allontanato perché non iscritto al partito fascista. Dopo la Seconda Guerra mondiale si trasferì a Milano, dove diventò collaboratore del “Corriere della Sera” e morì nel 1981. Nel 1967 fu nominato, per meriti culturali, senatore a vita. Nel 1975 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura con la motivazione di aver interpretato “con grande sensibilità artistica, valori umani nel segno di una visione della vita senza illusioni”.
Il motivo di fondo della poesia di Montale è una visione pessimistica e desolata della vita del nostro tempo, in cui , crollati gli ideali romantici e positivisti, tutto appare senza senso, oscuro e misterioso. Vivere, per lui, è come andare lungo una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia (Meriggiare pallido e assorto). Ne d'altra parte c'è alcuna fede religiosa o politica che possa consolare e liberare l'uomo dall'angoscia esistenziale. Nemmeno la poesia, che per Ungaretti rappresenta lo strumento per conoscere la realtà, può offrire all'uomo alcuno aiuto. Ogni paesaggio e ogni oggetto è visto da Montale contemporaneamente nel suo aspetto fisico e metafisico, nel suo essere cosa e al tempo stesso simbolo della condizione umana di dolore e di ansia. In Montale non troviamo più la ricerca della parola essenziale, ricca di suggestione musicale, illuminata e consolatrice: la parola è aspra e pietrosa ed il discorso più disteso, anti retorico, prosatico, dal ritmo lento.
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