Le scuole di pensiero economiche
- Andrea La China
- 1 ott 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Definizione
Per scuole di pensiero economiche si intende un insieme di economisti che hanno elaborato teorie economiche al fine di aumentare la ricchezza di uno stato o nazione e migliorarne il sistema economico.
Mercantilisti (1500 - 1750)
Secondo gli economisti di questa scuola:
La ricchezza delle nazioni derivava dal denaro accumulato attraverso il commercio e per questo doveva essere agevolato;
Era necessario lo sviluppo del commercio interno ed internazionale;
Era necessario l'intervento dello Stato nel sistema economico per facilitare gli scambi commerciali.
Scuola Fisiocratica (1750 – 1800)Il maggiore esponente di tale scuola è stato Quesnay.
Secondo i fisiocratici:
La ricchezza delle nazioni deriva dalla fertilità della terra;
L'unico settore capace di produrre un sovrappiù, misurato sempre in termini fisici (quantitativi), era l'agricoltura;
La classe degli industriali era una classe sterile poiché non era in grado di produrre un sovrappiù;
Era necessario l'intervento dello Stato, attraverso norme, per eliminare gli ostacoli alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli.
Scuola classica inglese (fine 1700)
Di tale scuola non esiste una data di fine poiché ancora oggi alcune teorie sono importanti e sono usate. I maggiori esponenti di tale scuola sono stati Adam smith e Davide Ricardo. Secondo gli economisti di tale scuola:
La ricchezza delle nazioni derivava dal lavoro;
Il sovrappiù era creato dall'attività produttiva del settore industriale; più la realizzazione di un bene è lavorata, più è alto il suo valore (teoria del valore/lavoro);
Il sistema capitalistico funziona in seguito al collegamento di tre fattori (lavoro, terra , capitale);
Colui che produce , nell'impiegare le risorse per i propri interessi, promuove, allo stesso tempo, l'interesse della società (teoria della mano invisibile);
La teoria della mano invisibile è la ricerca individuale del profitto, che spinge l'uomo ad impiegare il proprio capitale, le proprie energie nella forma più vantaggiosa e redditizia per lui, ma contemporaneamente egli promuove l'interesse della società e soddisfa i bisogni degli altri, trasformando il guadagno individuale in benessere collettivo;
Non si ha bisogno dell'intervento dello Stato poiché il sistema è in grado di garantire la crescita senza provocare sovrapproduzione e disoccupazione;
È importante la divisione del lavoro. Essa può essere: orizzontale (un settore si specializza a produrre qualcosa) o verticale (una persona esegue una sola parte dell'intero prodotto).
Scuola marxista (1800)
Il maggiore esponente di tale scuola è stato l'ideologo comunista Karl Marx. Egli, insieme ai suoi economisti, sosteneva che:
· Esistevano dei conflitti tra capitalisti e lavoratori causati proprio dal sistema capitalistico; · Il lavoratore, colui che contribuisce al lavoro, percepisce un salario minore rispetto al capitalista;
· Era necessario abolire la proprietà privata dei mezzi fisici di produzione, ma dovevano appartenere a tutta la collettività e devono perciò essere gestiti dallo Stato (sistema collettivista);
· Gli operatori dovevano attenuarsi ai ritmi delle macchine e viene visto in modo negativo il processo di industrializzazione;
· Il sistema capitalista avrebbe portato sovrapproduzione e disoccupazione con la conseguente distruzione del sistema stesso.
Scuola neoclassica (1850 - 1920)
I neoclassici:
Rifiutavano la distinzione degli uomini in classi sociali;
Affermavano che gli uomini nascevano con una risorsa reale: il tempo da dedicare all'attività di produzione per avere un reddito;
Sostenevano che era necessario analizzare il comportamento del singolo individuo nelle operazioni di scambio e di produzione (scuola marginalista - microeconomia);
Affermavano che esisteva un problema economico in seguito al divario tra bisogni e risorse, poiché le risorse erano sempre minori dei bisogni;
Sostenevano che ogni individuo agisce in maniera razionale giacché cerca di ottenere il massimo profitto con il minor sforzo;
Affermavano che era necessario studiare il comportamento di un individuo per elaborare delle teorie astratte;
Vedevano la società come una somma di comportamenti individuali;
Sostenevano che se il mercato era lasciato libero, era un meccanismo perfetto che assicurava: efficienza nella produzione (si ha un massimo risultato con minor sforzo) ed equità nella distribuzione (ciascun fattore produttivo acquista una remunerazione quando il reddito è corrispondente al contributo da ciascuno fornito alla realizzazione di tutto ciò che si produce);
Sostenevano che era necessario limitare gli interventi dello Stato (Stato minimo). Lo Stato si doveva occupare soltanto di amministrazione della giustizia, difesa, ed ordine pubblico.
Scuola Keynesiana (1940)
Le teorie della scuola neoclassica, detta anche liberista, furono abbattute dalla scuola Keynesiana che ha cercato di risolvere la crisi del 1929. I Keynesiani sostenevano che:
La società era composta da ceti privilegiati (i capitalisti) e da ceti subalterni (lavoratori);
Le due classi sociali perseguono diversi obiettivi: i capitalisti perseguono l'accumulazione del capitale, i lavoratori cercano di soddisfare i propri bisogni necessari;
Il sistema capitalista non era in grado di realizzare un equilibrio poiché era soggetto a possibili crisi di sovrapproduzione e disoccupazione;
Era necessario che lo Stato intervenisse a sostegno dell'attività economica attraverso la spesa pubblica, che elevi la domanda di beni e quindi diminuisca la disoccupazione.
Con la scuola Keynesiana si parla di Stato massimo, poiché lo Stato si doveva occupare anche dell'istruzione. Nel 1929 si è avuta la grande crisi economica, in cui per la prima volta l'andamento dell'economia ha toccato il punto più basso. Questa crisi è stata caratterizzata da licenziamenti di massa, chiusura d'industrie, riduzione della domanda con la conseguente contrazione dell'offerta. L'economia era entrata in un circolo vizioso, perché da un fenomeno se ne sono innescati altri che hanno portato il sistema economico alla sovrapproduzione o al sottoconsumo.
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